E se la campagna di invito al voto fosse essa stessa la campagna elettorale?
Le elezioni americane di quest’anno sono state in tutto e per tutto uno dei temi più trattati dai media tradizionali e non. Una campagna elettorale lunga, polarizzata dai leader Joe Biden e Donald Trump antagonisti in uno scontro che ha il sapore di sigolar tenzone in una sfida tra bene e male, tra luce ed ombra (a voi la scelta di chi sta dalla parte del bene e chi del male).
I colpi di scena non sono mancati, come non è mancata l’incertezza – almeno sui media – nella nomina del nuovo presidente USA.
Da spettatore esterno mi sono informato, ho divorato articoli e libri, ho messo Play – con religiosa costanza – ai podcast di Francesco Costa con l’obiettivo di non restare un semplice spettatore, ma un’informato opinionista di uno storico momento della nostra storia contemporanea. Più andavo in profondità, più cercavo di intuire i meccanismi elettorali di quella che chiamano la più grande democrazia mondiale (consigliamo la mini serie Netflix “Il voto in poche parole”) più non riuscivo a distogliere l’attenzione da quella che, secondo me, è stata la vera campagna vincente di questa tornata Presidenziale: La campagna di sensibilizzazione per incoraggiare gli americani a recarsi alle urne.
In una elezioni caratterizzata dall’ombra del Covid-19, dalla conseguente recessione economica e dai moti di ribellione del #blacklivesmatter, molte aziende e personaggi pubblici hanno utilizzato la propria influenza mediatica per spingere la gente al voto. Già prima dell’election day i dati lasciavano presagire un’affluenza record alle urne. I numeri del 3 novembre hanno confermato questo trend: si può affermare con assoluta certezza che queste elezioni sono state quelle che, in termini assoluti, hanno portato più americani alle urne.
Secondo le stime di Bloomberg, l numero di votanti totali supererà quota 160 milioni. Nel 2016 erano stati 136 milioni, 129 nel 2012 e 131 nel 2008. Prendendo in considerazione la Voting-Eligible Population (VEP), oltre il 66% degli aventi diritto si è recato alle urne, con un picco dell’81% in Minnesota.
E se la vittoria affondasse le sue radici proprio nella strategia del “VOTE”?
Le moltissime campagne di sensibilizzazione al voto hanno coinvolto i più disparati settori, spaziando dall’ADV classico, al merchandising di voto, fino a noti brand che hanno pagato i propri dipendenti per lavorare alle urne. E noi da occulti scrutatori del marketing non abbiamo resistito a esplorare queste campagne.
Qui riportiamo alcuni dei punti salienti delle campagne di incoraggiamento gli elettori a usare la propria voce.
NIKE: “You Can’t Stop Our Voice”
Come sempre tra le migliori campagne ritroviamo quella della Nike che sottolinea come lo sport (come il voto) ti offre la possibilità per esprimerti al meglio.
Con atleti come LeBron James, Naomi Osaka, Odell Beckham Jr, Sue Bird, Ja Morant, A’Ja Wilson e Tim Anderson, la campagna afferma che non devi essere una star per avere un voce. In linea con gli sforzi di Nike per aumentare la partecipazione degli elettori e ridurre al minimo gli ostacoli al voto, la società ha anche collaborato con la società di reti di trasporto Lyft per supportare il voto anticipato e l’accesso alle urne nelle comunità che hanno storicamente avuto più difficoltà ad arrivare al voto.
Absolut: “#VoteResponsibly”
La multinazionale Pernod Ricard USA ha concesso a tutti i dipendenti un permesso retribuito per il giorno di martedì 3 novembre per poter votare. Absolut, il marchio di punta di Pernod Ricard, ha inoltre lanciando la campagna “Drink Responsibly. #VoteResponsibly” accompagnata dal messaggio “Vote First, Drink Second”.
Under Armour: “Run to Vote”
Un altro Brand che ha incoraggiando, sia i suoi dipendenti che i suoi clienti, a partecipare al voto, è il marchio di abbigliamento sportivo Under Armour. “Run To Vote”, un primo programma in assoluto per l’azienda con l’obiettivo di aumentare l’affluenza alle urne e rimuovere gli ostacoli che possono impedire alle persone di avere un impatto sulla democrazia.
Al timone di questa prima iniziativa c’è il presidente e chef executive di Under Armour Patrik Frisk. Questa elezione segna la prima volta che ha votato negli Stati Uniti da quando è diventato cittadino: la sua esperienza di navigazione nel sistema politico qui lo ha spinto a fare leva sulla società che guida e su ciò che rappresenta per rendere il voto più facile per tutti.
“VOTE LIKE A MADRE”
Sperando di rappresentare il gruppo demografico del Latinx, le madri latine hanno fatto una promessa ai loro figli di “#votelikeamadre” per combattere il cambiamento climatico.
In una campagna guidata da alcune delle mamme latine più riconoscibili di musica, televisione, film e affari, tra cui Jennifer Lopez, Eva Longoria, Salma Hayek, Zoe Saldana, Jessica Alba, Jordana Brewster, Joy Huerta e Desi Perkins, #VoteLikeAMadre esorta le mamme a combattere per il futuro dei loro figli eleggendo leader con piani chiari per combattere il cambiamento climatico.
HBO: “Rock the Vote”
Un importante sostegno è arrivato anche dalle celebrità della HBO Max per la campagna “Rock the Vote”, che stanno dando il via a una nuova partnership che incoraggia gli elettori a evidenziare le questioni che hanno maggiormente influenzato la loro vita quotidiana, le loro famiglie e le loro comunità.
Nei video realizzati troviamo artisti e attori tra cui Spike Lee, Natasha Rothwell, Robin Thede, Samantha Bee e altri che rappresentano questioni come l’uguaglianza, Black Lives Matter, i diritti LGBTQ +, la giustizia riproduttiva e il cambiamento climatico. Una comunicazione forte e ricca di declinazioni, con toni di comunicazione che spaziano dall’istituzionale fino a un tono più ironico, come il video #TURNOUTFORWHAT con la partecipazione di Lil Jon.
AD COUNCIL: “Vote for Your Life”
Il conglomerato dei media statunitense ViacomCBS, in collaborazione con l’Ad Council (Advertising Council, è un’organizzazione no profit americana che produce, distribuisce e promuove annunci di servizio pubblico per conto di vari sponsor, tra cui organizzazioni non profit, organizzazioni non governative e agenzie del governo degli Stati Uniti) , ha lanciato la campagna “Vote For Your Life”, una campagna di registrazione elettorale di massa, con l’obiettivo di sensibilizzare e informare principalmente ai millennial e gli elettori della Gen Z di età compresa tra i 18 e i 30 anni.
PATAGONIA: “ Vote te Asshole OUT”
Chi sicuramente non si è risparmiato è il noto brand per la sua forte posizione sull’ambientalismo, il marchio outdoor Patagonia che ha incluso un messaggio speciale sulle etichette della sua recente gamma di pantaloncini.
“VOTE THE ASSHOLE OUT” è stata “spiegata” dal fondatore Yvon Chouinard che ha parlato di “stronzi”, per appellare i “politici di qualsiasi partito che negano o ignorano la crisi climatica e ignorano la scienza”. Tre anni fa, la Patagonia ha anche citato in giudizio l’amministrazione Trump per la sua decisione di ridurre le dimensioni, di circa due milioni di acri, di due monumenti nazionali nello Utah.
RepresentUs: ‘Naked Ballot’
Sono veramente molte le personalità che si sono spese in questa campagna Pro VOTE, sicuramente da sottolineare la divertente attività social legata alla campagna “Naked Ballot”.
Alcune delle più grandi celebrità del mondo sono apparse nude in una pubblicità per attirare l’attenzione sulle leggi che richiedono agli elettori di 16 stati, compreso l’importante stato swing della Pennsylvania, di inserire la loro scheda elettorale per corrispondenza in due buste separate per essere contate. Se la scheda elettorale non è inserita correttamente in Pennsylvania e New Jersey, la scheda elettorale è considerata “nuda” e respinta. Questa “regola del voto nudo” rischia il rifiuto di centinaia di migliaia di voti per corrispondenza, il che potrebbe avere un impatto significativo sui risultati delle elezioni statunitensi.
L’obiettivo dell’annuncio è chiarire i passaggi necessari che gli elettori che stanno inviando le loro schede devono compiere per assicurarsi di essere accettati dal consiglio elettorale del loro stato e conteggiati.
Tutti alle urne, a dirlo è l’arte!
Oltre ai brand anche il mondo dell’arte e dello spettacolo non si sono tirati indietro.
Tra le molte iniziative artistiche molto interessante è stata quella che ha riguardato gli adesivi con scritto “I voted”, distribuiti nei seggi agli elettori, sono un’icona delle votazioni americane. Quest’anno, a causa del Covid, un grosso numero di elettori ha preferito votare per corrispondenza, perdendo quindi l’opportunità di ricevere in regalo il classico souvenir. Per questo il New York Magazine ha chiesto a 48 artisti di reinterpretare l’adesivo I voted e, per il numero uscito il 26 ottobre, ha trasformato la copertina in un foglio composto di adesivi staccabili di cui sono state pubblicate 26 diverse versioni. Inoltre, migliaia di copie degli adesivi sono state poi distribuite in diverse librerie e negozi della nazione. Tra gli artisti coinvolti, KAWS, Shepard Fairey, Barbara Kruger, David Hammons, Lorna Simpson, che hanno interpretato il progetto creando messaggi che incitano ad andare alle urne e alla partecipazione democratica.
Queste campagne hanno favorito i democratici?
Seppure la maggior parte delle campagne pro voto hanno il sapore della propaganda democratica, non sono mancate attività simili dalla parte dei repubblicani. La grande differenza tra le due fazioni è che il partito democratico (a seguito delle scorse elezioni) aveva indicato chiaramente la strada da percorrere prima dell’electron day: Riportare le minoranze e i giovani alle urne. Sono serviti due anni per incentivare e strutturare una partecipazione dal basso che è fortemente mancata quattro anni fa.
Possiamo sicuramente dire che questa grande mole di attività ha fortemente premiato la visione del voto come diritto piuttosto che come privilegio, smuovendo le coscienze soprattutto delle minoranze e dei giovani che in questa tornata elettorale – possiamo dire – hanno veramente fatto la differenza.
Questione di tempi
Parafrasando il trailer della serie Netflix Dark “la domanda da porsi non è dove, non è chi, non è come, ma quando”. Il timing è tutto!
Sembra proprio che la sinistra americana abbia letto con grande attenzione il saggio “Non pensare all’elefante!” Di George Lakoff — linguista americano che ha studiato per anni le modalità cognitive delle persone soprattutto in merito alla loro dimensione pubblica. Un compendio (con tanto di esempi pratici) su come la sinistra americana deve riprendere le redini del discorso politico e le varie tecniche per battere la destra a partire dalle parole che vengono utilizzate ogni giorno. Lakoff parla di frame linguistici che hanno bisogno di anni prima di ottenere risultati, un percorso che ha bisogno di una strategia che parte da lontano, che si decide a tavolino, che si dipana lungo un percorso prestabilito per cambiare radicalmente la percezione di una persona, di un marchio, di un pensiero.
Ed è proprio questo il potere delle storie. Un potere arcaico, che è sempre stato così.
Non se lo inventa la politica, ma anche qui, chi riesce a raccontare nel giusto momento la storia migliore, vince.
E questa volta forse, il timing così anticipato, è stata veramente la carta vincente!
Dagli USA per quest’anno è tutto, ci vediamo al prossimo Super Bowl!
0 Comments