Ecco come ho metabolizzato l’ascolto delle sessioni ‘rubate’ di ‘OK Computer’ dei Radiohead.
La nostra generazione di trentenni ha sofferto di un male silenzioso e spesso poco raccontato:
la mancanza di idoli contemporanei capaci di impersonificare i nostri tempi.
Noi che abbiamo superato i 30, ci siamo sempre dovuti aggrappare o alle ingombranti icone del passato o abbiamo cercato di capire ed apprezzare icone moderne che poco hanno avuto a che vedere con le nostre crisi esistenziali adolescenziali o le nostre crisi di metà cammino (che ancora oggi ci vedono coinvolti nella lotta continua tra eterna giovinezza e manifestata “anzianità”).
Io ho avuto la fortuna, di ricevere un dono, la fede per un gruppo che ha influenzato non solo i miei gusti musicali, ma il mio modo di vedere l’arte e la musica.
Il dono Radiohead.
Nel preciso istante in cui ho ascoltato le melodiche cantilene indie/rock dei primi album, sono stato richiamato, come dalla preghiera di un imam, da quello che all’epoca non sapevo sarebbe diventato il mio Personal Jesus, Thom Yorke.
Ora che ho ottemperato al mio bisogno di fare outing, (necessità dovuta alla problematica di cui sopra) posso parlarvi del perché ho deciso di commentare l’ultima geniale trovata della formazione di Oxford capitanata dal buon vecchio zio Thom.
Tutti sapranno la notizia di qualche giorno fa, la band è stata vittima del furto – da parte di un hacker – di diciotto ore, contenute in diciotto minidisc, di materiale inedito relativo all’album simbolo dei Radiohead, “OK Computer”, uscito nel 1997 e contenente classici della band come “Paranoid Android”, “Karma Police” e “No Surprises”.
La veridicità di quanto trapelato è stata confermata dalla stessa band, che ha deciso di rispondere, al misterioso hacker, mettendo essa stessa a disposizione i file contenenti versioni alternative, improvvisazioni e jam – di puro flusso creativo – che ha poi trovato forma nel disco del 1997, poi ripubblicato in versione espansa, per il ventennale, tre anni fa, con il titolo di “OKNOTOK”.
Quello che poteva sembrare, in tutto e per tutto una situazione di crisi è diventata una enorme opportunità di marketing.
Come potevano rispondere al furto, e alla successiva richiesta di riscatto pari a 150 mila dollari, la band che ha sempre fatto dell’unconventional un carattere stilistico sia della propria arte, sia che del proprio storytelling pubblicitario?
Con un’azione di rottura delle regole classiche e paradossalmente con la strategia di marketing più semplice per chi non ha nulla da perdere ma tutto da guadagnare – ancora.
il materiale trafugato è stato reso disponibile (per un tempo limitato) su Bandcamp alla cifra di 18 sterline (circa 20 euro). Il denaro raccolto sarà devoluto al movimento per il clima Extinction Rebellion nato a Londra nel 2018.
Non è la prima volta che la band britannica mette in discussione il sistema di domanda e offerta musicale, prima scagliandosi contro i grandi distributori streaming, poi inventandosi – nel 2007 – per l’uscita di “In Rainbows”, un download digitale con il sistema pay what you want.
Tale strategia di vendita, sempre rimasta ai margini dell’economia, porta online il meccanismo che da sempre caratterizza i busker (o artisti di strada) che lasciano al consumatore l’onere di valutare il proprio prodotto artistico e pagarlo esattamente per quanto ritengano valga.
Un modello che si può permettere solo chi ha la forza o l’arroganza di credere in quello che fa.
Esempi celebri sono il Metropolitan Museum of Art di New York City – il ticket di ingresso per l’accesso alle esposizioni del MET è corrisposto su base volontaria – e gli stessi artisti di strada.
Passiamo però a trarre alcune conclusioni.
Per te due finali alternativi, il primo da operaio della comunicazione (cinico e realista), il secondo come fanboy di uno degli ultimi idoli della musica (veramente) alternativa e indipendente.
FINALE 1
Operazione progettata a tavolino o no, i Radiohead ci hanno abituato fin dal 1997 al concetto di “…No alarm no surprise…”.
Nulla è lasciato al caso, per cavalcare un’onda di successo tanto lunga, bisogna sempre continuare a surfare anche quando non ci sono onde.
Pare che il gruppo abbia ben compreso l’importanza del moderno concetto di Hype. I fan pendono sempre più dalle loro labbra elemosinando nuove produzioni o nuovi progetti solisti.
I Radiohead li accontentano con intelligenza, sfruttando, come scrive Jonny Greenwood (membro chiave della band), del materiale “solo tangenzialmente interessante. E molto, molto lungo”, oro colato invece, per tutti gli affecionado che si fanno bastare briciole o vecchie registrazioni per traghettare la loro fame di Radiohead fino alla prossima uscita ufficiale.
La beneficienza, la mossa giusta per costruire una notizia spendibile su tutto il pianeta, (in perfetta linea con la filosofia della band super attiva su diverse campagne ambientaliste).
Una strategia di marketing digitale da grande azienda. L’ennesimo colpo di una band che si evolve e cresce tanto quanto e come crescono i suoi storici fan.
FINALE 2
18 ore non sono così tante, diciamo che mi ci vuole una giornata intera per ascoltarlo.
Se è il terzo giorno di fila che lo ascolto vuol dire che dovrei averlo sentito circa tre volte, per un totale di 54 ore di Radiohead che, sono sicuramente tante, ma non tantissime, posso fare meglio…anche perché mi pare che tra la 12a e 13a ora Thom dica il mio nome e cognome. L’ho sentito chiaramente al primo ascolto!
*artwork by Gluskap
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