Exit poll: la guida completa
La giornata elettorale è conclusa. La notte è lunga, il risultato definitivo arriverà accompagnato dalle prime luci della mattina. I candidati aspettano: qualcuno di loro gira attorno al comitato elettorale, altri preferiscono la quiete casalinga. Tutti però hanno la televisione accesa; attendono che la loro sensazione si confermi o si smentisca, che le chiacchiere scambiate fuori dal seggio, le pacche sulle spalle, assumano carattere di scientificità. Gli exit poll stanno per arrivare.
Cosa sono gli exit poll? Ecco cosa significa il termine
Poniamo il caso di un’elezione regionale con tre candidati Presidenti. In linea di massima, la scheda elettorale è così composta: tre blocchi rettangolari in cui sulla destra si trova il nome del candidato Presidente, a sinistra e in colonna le liste a suo supporto. In base alle varie leggi elettorali si possono prevedere diverse modalità di voto. Semplificando al massimo, le croci da mettere sono due. Un exit poll è questo: la replica fuori dal seggio del voto appena espresso. Nello specifico, si selezionano in anticipo una serie di seggi e si chiede a un campione di elettori dei seggi stessi di ripetere, su facsimile delle schede, il proprio voto. Oltre a ciò, vengono raccolte anche le caratteristiche socio-demografiche dell’intervistato ed il suo precedente voto. Dati essenziali per ogni analisi del voto.
Gli exit poll hanno una storia lunga. Il primo prototipo di utilizzo venne fatto negli USA negli anni ’60, quando alcuni media e candidati raccolsero informazioni demografiche fuori dai seggi al fine di predirre esiti elettorali. Si sarebbe dovuto aspettare sino al 1967 per l’utilizzo e la distribuzione su larga scala, quando Warren Mitofsky, un pionere tra i sondaggisti e considerato come inventore del metodo, li applicò alla corsa a Governatore del Kentucky. Da quel momento in poi, si dice che Mitofsky abbia coperto oltre 3.000 tornate elettorali in diversi Paesi.
Differenza tra exit poll, sondaggi e proiezioni elettorali
Nel 1976 due grandi passioni italiane vissero una serie di prime e di ultime volte. Fu l’ultimo Festival di Sanremo svoltosi al Casinò e trasmesso in bianco e nero. Giancarlo Guardabassi condusse senza mai salire sul palco, e fu una prima volta. Fu la prima volta per Romina Power e vinse per la seconda e ultima volta Peppino di Capri, con il brano Non lo faccio più.
Ma fu anche la fine dello scenario ipotetico in cui il PCI assurgeva a partito di maggioranza relativa; furono le elezioni da cui partì un declino costante dell’affluenza e, infine, furono le prime elezioni in cui si sperimentarono metodi di stima dei risultati elettorali, le proiezioni. Per l’introduzione degli exit poll bisognerà attendere un altro crepuscolo, il 1992 e l’inizio dell’ultima legislatura della Prima Repubblica.
Ma cosa distingue proiezioni e sondaggi dagli exit poll? In tre parole: tempi e metodo. Degli exit poll abbiamo già detto; le proiezioni si basano invece sull’analisi dei voti effettivamente espressi dagli elettori e già scrutinati all’interno dei seggi elettorali, coprendo un campione ben più ampio. I sondaggi differiscono dagli exit poll sia nei tempi che, spesso nel metodo d’intervista: non si svolgono de visu, vengono compiuti prima del voto effettuale e, pertanto, non indagano un comportamento avvenuto quanto un comportamento ipotizzato.
Come leggerli: quando sono affidabili?
Come ogni metodo predittivo, gli exit poll hanno dei limiti. Se vi interessa un’analisi scientifica, partendo dal disegno della ricerca e arrivando a un’applicazione pratica a un caso studio, vi consigliamo questo articolo del politologo Paolo Natale. In linea di principio noi sottolineaiamo un solo elemento: se ben strutturati, gli exit poll hanno la stessa incertezza, affidabilità e distorsioni di un normale sondaggio, che si aggira attorno al 2%.
Lo confessiamo, anche noi li guardiamo. Ma con una consapevolezza: sono più un nostro tentativo di esorcizzare l’incertezza che una verità immutabile. Per quello aspettiamo sempre, ineluttabile, il Cervellone del Viminale.